PRODIGI E GRAZIE OTTENUTE PER INTERCESSIONE DI “GIUSEPPINA FARO”
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Alcune persone di Giarre trovandosi a Pedara per la vendemmia pregarono suor Teresa Caudullo di voler loro far vedere il corpo incorrotto della Faro. Andarono in chiesa, ma non si trovava la chiave dell’urna; tutti ne erano dolenti, ma uno della brigata, avvelenato dall’incredulità, con fare arrogante disse: — Se Giuseppina è santa l’urna si deve aprir sola. — Quale non fu la meraviglia di tutti, quando d’un tratto l’urna davvero si aprì e la porta, che si apriva come un libro messo col dorso su un tavolo, cadde sulle braccia della Caudullo che ne rimase dolorante.
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II signor Francesco Auteri, parente della Faro, le aveva promesso un anello se gli avesse ottenuto da Dio una certa grazia; ma non mantenne la parola dopo aver ricevuto quanto aveva chiesto.
Una notte la serva di Dio apparve in sogno a suor Teresa Caudullo e si lamentò con lei della inadempienza dello Auteri dicendole: Francesco Auteri mi chiese di ottenergli una grazia, promettendomi un anello; la grazia l’ha ottenuta ma l’anello non me l’ha portato. — È inutile dire che la Caudullo nulla sapeva né della grazia, chiesta dallo Auteri né della grazia da lui ricevuta.
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Nel 1886 una ennesima eruzione dell’Etna minacciava Nicolosi e a Pedara pervennero molte persone della vicina cittadina per chiedere a Giuseppina un segno della sua intercessione. E il segno si ebbe perché tutti videro il corpo della vergine allargare le braccia. In quel momento la lava si arrestò, Nicolosi fu salva e i suoi abitanti poterono rientrare nelle case abbandonate.
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II canonico D. Luciano Marcenò, vice segretario del cardinale Dusmet, e il cassinese Don Paolo Proto desiderando vedere le venerande spoglie della serva di Dìo, vennero alla chiesa della SS. Annunziata con la Caudullo, e trovandola chiusa mandarono a chiamare il sacrista, ma questi era andato a Catania; allora i due rivolti alla Caudullo le dissero: — Bene. Fateci aprire da Giuseppina. — Suor Teresa in tutta semplicità si appressò alla porta e gridò: — Giuseppina, apri! — e la porta si aprì.
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La signora Carmela Forzesi in Petronio era travagliata fin dall’alba da atroci dolori di parto. A mezzogiorno i chirurghi stavano per porre mano ai ferri, quantunque temessero che la inferma non fosse abbastanza forte da poter resistere ad un intervento, quando la signora chiese la intercessione della serva di Dio, e avuti alcuni capelli della Faro se li pose in seno. Immediatamente senz’altro dolore e con meraviglia di tutti diede alla luce il suo figliolo.
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Anche Virginia Tomaselli aveva un parto estremamente difficile. Ricorse a Giuseppina e, cessati i dolori, partorì felicemente.
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Una giovane di Belpasso fu dai medici giudicata tisica; i parenti temendo che potesse contagiare altri della famiglia la trasferirono in un’altra casa. Disperata la giovane ricorse a Giuseppina e ritornò sana.
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Paolo Bellia di Catania, abitante presso la parrocchia del Borgo, riuscite vane le cure per guarire la moglie, Veneranda Turrisi, di un grave male allo stomaco, ricorse all’aiuto della Faro. Una notte la vide in sogno e sentì che gli diceva: — La grazia è ottenuta; tua moglie guarirà. — E difatti la moglie, da quel tempo, lasciate le medicine, riebbe la salute.
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Salvatore Turrisi di Macchia di Giarre soffriva di acerbissimi dolori reumatici e nessuna cura aveva potuto alleviare le sue sofferenze. La moglie ricorse alla intercessione della vergine Faro ed ottenutane una reliquia la collocò sotto il guanciale del marito che il giorno dopo si destò perfettamente guarito.
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Salvatore Marletta da Catania soffriva da tempo di una noiosa oftalmia sorda ad ogni cura. Invocò la serva di Dio, pose sugli occhi un suo capello e fu guarito.
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La signora Resini, nata Mangiulli, oriunda da Napoli, sofferente per un cancro all’utero, ebbe da un suo cugino di Pedara una immagine di Giuseppina e un vasetto con l’olio della lampada che arde innanzi all’urna. Non appena si fu unta di quell’olio guarì.
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Giuseppina Cannella ottenne dalla serva di Dio la guarigione dai dolori reumatici che la travagliavano da tempo.
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Molti ammalati furono risanati al tocco di un grembiule usato in vita dalla Faro e molti del comune di Brente ebbero grazie toccando un guanciale della serva di Dio.
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II dottor Basile toccò, col permesso del cardinale Dusmet, una gamba della serva di Dio e per tre giorni ne ebbe le dita profumate di soave odore che fece sentire anche all’eminentissimo Cardinale.
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Sul mento di Teresina Consoli Toscano apparve una maligna escrescenza. Avendo, i medici, giudicata necessaria l’operazione, i familiari invocarono l’angelica Giuseppina e dopo tre giorni la fanciulla fu perfettamente guarita.
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Nel 1877 il canonico francese della diocesi di Langres, Nicola Mammes Couturier, trovandosi ospite, per qualche giorno, del cardinale Dusmet, arcivescovo di Catania, ebbe l’occasione di accompagnarlo a Pedara, dove l’eminente porporato si recava per visitare il corpo della Faro. Dopo la visita il canonico Couturier ebbe un gran desiderio di entrare in possesso di una qualche reliquia della vergine e la notte, in sogno, si vide in possesso di un libro e di un fazzoletto di Giuseppina. Nello stesso tempo la Caudullo, che in quel tempo viveva in Catania, credette di vedere in sogno Giuseppina che le diceva: — Va’ alla Cattedrale, troverai un canonico organista francese e gli porterai un mio libro ed un mio fazzoletto. — La Caudullo prese, allora, dalla biblioteca dell’avvocato Faro un libro, che Giuseppina, in vita, soleva leggere, e uno dei suoi fazzoletti e andò in Cattedrale dove si presentò al canonico Couturier chiedendogli: — Desidera ella qualche reliquia di Giuseppina? — Si — rispose il francese e la Caudullo continuò: — Ecco Giuseppina le manda un libro e un fazzoletto. — Lo stupore del canonico Couturier fu grande almeno quanto la sua gioia, e, tornato che fu in Francia, sparse fra i fedeli della sua diocesi la devozione verso la serva di Dio; devozione che fu ripagata con prodigi e grazie.
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Tre anni dopo il suddetto canonico Couturier scriveva al sac. Felice Caruso, estensore della prima « Vita » della Faro, comunicandogli la notizia di una grazia ottenuta grazie all’intercessione di Giuseppina.
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Erano morte, a Langres, nell’ospizio militare dove prestavano la loro opera, due suore di S. Vincenzo di Paola, una di anemia e l’altra di meningite. Una terza, suor Luisa, fu colpita anche essa da meningite. L’abate Diego Couturier pregò lo zio, il canonico Nicola Mammes Couturier di voler portare all’inferma il fazzoletto ch’egli aveva avuto a Catania nel 1877. Così fu fatto e il giorno dopo l’inferma migliorò di molto. Dopo alcuni giorni fu guarita del tutto.
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Nel 1883 una giovanetta di quindici anni, Anna Fanconnier, di Langres, fu colpita da una violenta infezione tifoidea e i medici avevano disperato di salvarla. Il canonico Nicola Mammes Couturier, amico di famiglia, mosso a pietà invitò i genitori a invocare la vergine Faro e portò alla fanciulla ammalata un pezzette del lenzuolo che era stato sotto il venerando corpo di Giuseppina. Dopo due giorni i medici constatarono che la giovanetta era già fuori pericolo. Essa guari perfettamente dopo poco tempo.
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Il canonico Agostino Nicola Couturier narra che suora Olimpia, superiora delle suore Guardammalate, gli raccontò che nel 1880, a Langres, la giovane Isabella Mareschal, ammalata gravemente, non riusciva a rassegnarsi all’idea della morte e si mostrava atterrita e molto agitata. Ma non appena le fu dato un ritratto della benedetta Giuseppina e una reliquia, essa subito tornò calma e la rassegnazione entrò nel suo cuore insieme alla sottomissione al volere di Dio.
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La signora B. V. de Clock, madre di numerosa prole, fu colpita nei primi mesi del 1891 da violenti dolori alla testa. I medici credettero di poter diagnosticare una encefalite acuta che non permetteva alcuna speranza di guarigione; fu data, allora, all’ammalata una reliquia della vergine di Pedara e quasi improvvisamente i dolori cominciarono a diminuire fino a scomparire del tutto. Ma un mese dopo una congestione polmonare, una grave forma di gastrite e un esaurimento nervoso riportarono la signora de Clock in grave pericolo di morte. Grazie alle preghiere di intercessione rivolte a Giuseppina anche queste gravi malattie furono superate e la signora tornò in buona salute.
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Una giovanetta francese, la cui vocazione monastica era crudemente osteggiata dal padre, venne a Pedara e pregò presso l’urna dove riposano le spoglie mortali di Giuseppina. Al ritorno in Francia trovò il padre consenziente e così ottenne la sospirata grazia.
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Nella prima settimana di maggio del 1900 padre Cipolla, gesuita di Acireale viene a Pedara portando una lettera che un concittadino gli aveva consegnato per deporla sul corpo di Giuseppina. Egli chiese la chiave della prima porta dell’urna, ma non credette necessario chiedere quella della porta interna, che è di vetro dicendosi: — Basterà ch’io metta la lettera sulla cassa. — Aprì, dunque, la prima porta e si mise a pregare. Improvvisamente la seconda porta s’aprì. Padre Cipolla credendo che si fosse aperta da sé la rinchiuse, ma ecco che la porta s’aprì una seconda volta. Allora il gesuita ebbe l’idea di mettere la
lettera sul corpo di Giuseppina. Dopo qualche istante ritirò la lettera e richiuse di nuovo la porta di vetro che non si aprì più. Prima di andar via, volendo rendersi conto di ciò ch’era avvenuto, tentò di aprire quella porta, ma ogni tentativo fu vano. Il giorno dopo padre Cipolla ritornò alla cassa, questa volta con la chiave della porta di vetro, ma gli fu impossibile aprire quella porta; la chiave si ruppe tanto la serratura era arrugginita. Fu necessario rifare chiave e serratura.
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Nel mese di luglio del 1897 la signorina M. Bachmann, di Langres, fu colpita da una infiammazione dolorosissima all’indice della mano destra. Il dottore ritenne opportuno praticare una incisione alla quale seguì un certo miglioramento. Ma tre anni dopo il male ricomparve più violento di prima. Nessuna cura ebbe l’effetto sperato e il male peggiorò a tal punto che si temette che la signora Bachmann perdesse la falange del dito. Stanca di non ottenere alcun beneficio dai medicamenti, una sera l’ammalata pose sul dito un
frammento di tela di Giuseppina. La notte il dolore scomparve ed ella riposò benissimo. L’indo mani svegliandosi si accorse che il suo dito era perfettamente guarito.
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Da circa sei mesi i rapporti tra i membri di una famiglia erano molto tesi. Infine, in seguito ad una nuova discussione, si ebbe una rottura definitiva. Dopo qualche settimana tre persone di questa famiglia, rattristati della situazione iniziarono una novena di preghiere alla serva di Dio scongiurandola di far cessare questo stato di cose con la sua intercessione. Il secondo giorno della novena la persona più inasprita andò spontaneamente a trovare gli altri membri della famiglia con i quali non aveva più rapporti e senza alcuna spiegazione i cuori di nuovo si riunirono in sentimenti di affettuosa cordialità.
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Una giovane di temperamento nervoso e assai sensibile era da parecchi anni turbata da una grave forma di scoraggiamento; ella si sentivasenza difesa e senza forza contro gli attacchi delle sue passioni e le rivolte della sua fantasia.
D’altra parte ella era inasprita contro i suoi parenti che volevano imporle dei progetti per il suo avvenire che a lei ripugnavano; e per questo si era separata da loro. Avendo sentito parlare di Giuseppina e avendo ricevuto un pezzette della sua biancheria ella ad essa raccomandò i suoi problemi. Subito le fantasie e le tentazioni scomparvero e poco dopo la Provvidenza le offrì in una maniera affatto imprevista, la possibilità di rientrare nelle buone grazie della sua famiglia.
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Una giovane aveva fatto voto di non maritarsi e di vivere nella castità. Dopo alcuni anni ella entrò, come domestica, in una casa dove regnava lo spirito mondano. Poco a poco subì l’influenza di questo spirito. Un giorno le si presentò un’occasione favorevole per maritarsi e, quindi, cercò di ottenere da Roma la commutazione del suo voto. Nel frattempo qualcuno le donò una reliquia di Giuseppina esortandola a portarla con devozione e a confidare nella serva di Dio. Ella seguì docilmente questo consiglio e ben tosto tutto le fu chiaro: comprese che il suo progetto di matrimonio non era che una illusione passeggera. Allora si ritirò in una casa di religiose a cercare la pace dell’anima e la fedeltà a Gesù.
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Lucia Bralè, moglie di Giuliano Thiébaut, fu colpita all’età di 32 anni, da una flebite. Ella giaceva a letto da ben sette mesi allorché, un giorno, suo cognato, l’abate Thiébaut, curato nella diocesi di Troyes, le diede una piccola reliquia della serva di Dio. L’ammalata la ricevette con fede e si raccomandò a Giuseppina. Subito cominciò a migliorare e poco tempo dopo guarì completamente.
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In una parrocchia della diocesi di Digione un uomo che non si era avvicinato ai sacramenti da più di quaranta anni, fu colpito da una malattia mortale. La figlia, religiosa del Cuore Immacolato di Maria, accorse al suo capezzale per
tentare di disporlo a morire cristianamente. Lo pregò, lo esortò per molti giorni, ma tutto fu inutile. Il malato rifiutava di ricevere la visita di un prete. Un giorno venne donato alla povera suora un piccolo pezzo di tela appartenente a Giuseppina. Ella subito lo mise sotto il guanciale del padre confidando nella conversione di questi alla serva di Dio. Poco dopo il padre cambiò atteggiamento: non solo accettò la visita del curato, ma si confessò, si comunicò e ricevette l’Estrema Unzione.
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Nella stessa località, un peccatore senza fede, e nello stesso tempo duro e inumano con la famiglia, cadde ammalato. Lo si raccomandò subito a Giuseppina e quest’uomo del quale si temevano le malvagie disposizioni tutto ad un tratto cambiò carattere e atteggiamenti. Volle ricevere gli ultimi sacramenti e morì con la preghiera sulle labbra. « Ciò che Dio fa è ben fatto ». —disse qualche istante prima di spirare.
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Suor Priscilla, della Provvidenza di Langres, direttrice della scuola di Doulaincourt, essendo di cagionevole salute, nell’anno 1898 fu colpita da una forma di polmonite talmente grave che i medici disperavano di salvarla. La pia
donna si preparò, quindi a morire e ricevette gli ultimi sacramenti. Allora le si dette una piccola reliquia di Giuseppina e tutta la comunità religiosa chiese a Dio la sua guarigione per l’intercessione della vergine di Pedara. L’indomani il
pericolo di morte era già scomparso e ben presto suor Priscilla ritornò al suo ordinario stato di salute.
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La signora J. Thiériot, da Ferrières, nella diocesi di Langres, era tormentata da un gozzo interno che, secondo la diagnosi dei medici, avrebbe potuto farla morire soffocata. Il male era talmente progredito che la povera signora non poteva più attendere ad alcuna occupazione ed era costretta a un riposo forzato. Negli ultimi giorni del mese di agosto del 1898, ella ricevette e portò con pietà e con fede un pezzette di tela appartenuto a Giuseppina. Fece in onore della vergine di Pedara una novena, si confessò e si comunicò. A cominciare da quel momento il male cominciò a diminuire rapidamente fino a scomparire del tutto.
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Una pensionante del Rifugio di S. Anna, a Chatillon-sous-Bagneux, già vecchia e inferma, era ogni notte, e da più mesi, preda di una tosse ostinata e estremamente violenta, ribelle ad ogni rimedio. Ella fece una novena in onore di Giuseppina. Terminata la novena gli attacchi di tosse scomparvero definitivamente.
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Nello stesso rifugio si trovava una giovane tisica che soffriva di acutissimi dolori ad un fianco. Le venne donata una reliquia di Giuseppina ed ella cominciò a pregare con fervore la serva di Dio. Di lì a poco i dolori cessarono. Ma Dio, per l’intercessione di Giuseppina, volle accordarle una grazia ancora più preziosa. La povera ragazza, in passato, aveva sofferto molto a causa di più persone e non riusciva a perdonare loro il male che le avevano fatto. Ebbene, da quando ella ebbe il pezzetto di tela della Faro, i suoi sentimenti cambiarono e perdonò generosamente ogni male ricevuto.
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Una persona era da parecchi mesi ammalata e talmente debilitata da non poter far niente. Inoltre la minima emozione le procurava disagio e la metteva in stato di grande ansia. Un giorno ricevette una reliquia di Giuseppina e la portò
con sé. Ben tosto la sua impressionabilità scomparve e le forze ritornarono e dopo qualche giorno essa ritrovò il suo stato di salute normale.
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II signor Francesco Bobay, da Benfort, era ammalato di tisi polmonare. Il male era arrivato all’ultimo stadio ed i medici avevano dichiarato prossima la morte, quando gli fu data una reliquia di Giuseppina. Egli la ricevette con fede e pregò la serva di Dio di intercedere per lui. A cominciare da quel momento l’ammalato si sentì meglio e di giorno in giorno il miglioramento aumentò fino a che l’infermo potè riprendere le sue normali occupazioni.
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Nel corso dell’anno 1900 una signora di Londra fu improvvisamente colpita da grave malattia. Una sua amica, suor Francesca della Provvidenza di Langres, gli inviò un pezzette di biancheria di Giuseppina. La signora portò la reliquia con fede e improvvisamente il male disparve e l’ammalata fu guarita.
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Una persona di Leffonds, ma abitante da anni a Parigi, sentendosi debole e sofferente consultò successivamente due medici che le diagnosticarono una grave malattia ai polmoni. Essendo in possesso di una piccola reliquia di Giuseppina pregò con fiducia la serva di Dio. Dopo qualche settimana sentendosi meglio ritornò dal medico il quale le assicurò che al petto non aveva più niente.
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Una giovanetta di 15 anni, di nome Maria Clévy, educanda nell’orfanotrofio agricolo di Villegusien diretto dalle suore della Fede, si trovava occupata nella latteria quando, essendosi avvicinata un po’ troppo ad una macchina fu presa per la manica destra dell’abito da una manovella e tenuta fortemente. Ben presto la camicia e il busto si impigliarono negli ingranaggi e la povera ragazza si trovò sollevata da terra e piegata in due sull’asse della macchina. Terrorizzata si ricordò di avere addosso una reliquia della serva di Dio e con tutte le sue forze gridò: — Giuseppina, Giuseppina. — Subito prodigiosamente la macchina si fermò. Allora una suora e un’educanda accorse alle grida di Maria poterono facilmente strapparla alla macchina tagliando le vesti e sollevando la manovella in cima all’asse della macchina.
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II giovane prete Cuney, vicario della parrocchia di S. Martino di Langres, era così gravemente ammalato ai polmoni che il medico, perduta ogni speranza non gli accordava che pochi giorni di vita. Allora il canonico Couturier — qui altre volte ricordato — gli portò una fotografia e un pezzette di tela di Giuseppina mentre le religiose dell’Annunziata fecero una novena di preghiere per chiedere la guarigione. Fin dal primo giorno della novena si notò nell’ammalato un certo miglioramento che andò aumentando man mano che i giorni passavano. Il medico, visitandolo, constatò che le piaghe tubercolotiche
si erano cicatrizzate perfettamente e senza alcun bisogno di medicine.
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Suor Maria Abele della Provvidenza di Langres, al secolo Eugenia Gouroux, trovandosi in casa della sorella, signora Pargon, il 6 novembre 1901, alle dieci di sera, fu colpita da paralisi al cervello. Verso le undici fu chiamato il canonico Couturier al quale il medico disse: — Si tratta di una trombosi; tutta la parte destra del corpo è paralizzata. Non può più muovere né braccio né gamba, né può pronunciare una parola. Io non ho più speranza. Faccia lei quel che deve. L’abate Couturier dopo avere adempiuto al suo ministero, mise nella mano sinistra della ammalata una piccola reliquia di Giuseppina Faro che suor Maria Abele portò subito alle labbra. Si cominciò, allora, una novena di preghiere a Giuseppina e da quel momento cominciò la guarigione. Dopo due giorni l’ammalata cominciò a muovere il braccio e a pronunciare qualche parola. Alla fine della novena della paralisi non era rimasta nessuna traccia; restava soltanto uno stato di debolezza generale. Dopo qualche tempo la suora poteva riprendere le sue occupazioni abituali.
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Sul finire dell’estate del 1901 una vedova di Langres (Haute-Marne), signora Seguin, fu colpita da una grave forma di reumatismo e da una malattia al cuore. Dòoo quattro mesi di malattia le sue condizioni peggiorarono al punto da essere dichiarata in grave pericolo di morte. Le molte sofferenze patite avevano sconvolto la mente della povera inferma al punto da non voler sentire parlare di conforti religiosi né ricevere la visita di un prete. Allora la persona che l’assisteva pose sotto il suo guanciale una reliquia di Giuseppina Faro. Dopo alcuni giorni l’ammalata accettò la visita del prete, si confessò e ricevette con fede il Viatico e l’Estrema Unzione.
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II 6 luglio 1902 il giovane Felice Lanne, di Soyen, cadde violentemente a terra procurandosi una emorragia ad un orecchio. Egli perdette subito conoscenza e fu rialzato inerte. Chiamato il medico, questi dichiarò che probabilmente il ragazzo era stato colpito da una doppia lesione interna al cervello e che, temendo la complicazione di una meningite o di una commozione cerebrale, disperava di salvarlo. Fu posto sul suo guanciale un pezzetto di tela di Giuseppina e l’ammalato cominciò a migliorare fino a guarire completamente.
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La giovane Maria Margin, di Faurmies, soffriva da molto tempo d’una malattia nervosa e di una grave forma di anemia. Era talmente debilitata che non aveva alcuna possibilità di lavorare. Avendo letto la vita di Giuseppina ella si attaccò allo scapolare un pezzette della biancheria della serva di Dio e cominciò a pregarla fervidamente per ottenere la guarigione. Il giorno sette di maggio fu tormentata da violenti dolori alla mano e al braccio destri, ma nella notte che ne seguì le apparve Giuseppina. — Era assai bella — raccontò poi la giovane
— e vestiva da religiosa. Io vedevo appena la punta dei suoi piedi che uscivano dalla veste. Non camminava, ma si muoveva con grazia e leggerezza.
Si avvicinò a me, toccò il mio braccio ammalato e disparve. L’indomani mi trovai perfettamente guarita e non ebbi più a soffrire di nulla.
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II curato di Noyers, rev. Rougeot, soffriva da più di sei mesi di dolorose contrazioni nervose ad una gamba, per cui il medico gli aveva prescritto una cura molto lunga. Ora, dovendo egli uscir di casa per accudire al suo ministero, pensò di applicare alla gamba ammalata una reliquia di Giuseppina. Dopo di ciò il male scomparve completamente. La signora Rougeot, madre del curato, soffriva di violenti dolori all’anca. Dopo molte applicazioni di ventose credette di essere guarita, quando i dolori tornarono con maggior violenza sì da non permetterle neanche di dormire. Ricordatasi di Giuseppina e della grazia ricevuta dal figlio applicò una reliquia sulla parte ammalata e dopo pochi istanti essa fu guarita.
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La signorina Celina Belin, di Gharmoilles, era anemica da diciotto mesi. Avendo letto la vita di Giuseppina, pensò di chiederle la grazio, della guarigione. Le fece una novena di preghiere e dopo breve tempo fu guarita.
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La signora Thomas-Belin, di Frécourt, da qualche tempo soffriva d’un panereccio al dito. Continuandole i forti dolori e avendo sentito parlare di Giuseppina, le fece una novena di preghiere. Al terzo giorno le cessò ogni dolore.
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Eduardo Vauthelin, giovane di 20 anni, venne colpito, mentre si trovava a Puilly, di polmonite. Il sesto giorno Pammalato entrò in serio pericolo; una febbre altissima lo divorava cagionandogli una grande agitazione. Verso sera una persona, avendolo visitato, gli portò una reliquia della serva di Dio e gliela pose sul petto. Subito l’agitazione scomparve e l’infermo riposò tranquillo tutta la notte. Da quel momento il suo stato andò sempre migliorando sino alla completa guarigione.
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Antonietta Mariani di Corte colpita da una gravissima forma di idropisia, e, non volendo sottoporsi ad una pericolosa operazione chirurgica, non aveva alcuna possibilità di guarire. Avendole una conoscente parlato di Giuseppina Faro si sentì attirata verso la vergina di Pedara e chiese il libro della sua vita. Quando potè averlo tra le mani si sentì meglio e, dopo tre mesi di sofferenze, il suo male scomparve senza il soccorso né del medico né del chirurgo.
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La signora Maria Genimel, sofferente di indicibili dolori di sciatica, sentì parlare della vergine Faro e delle sue innumerevoli guarigioni. Si procurò un pezzettino di tela che era stato sul corpo venerabile dì Giuseppina e dopo pochi giorni fu completamente guarita.
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La piccola Elena Maria Dayran, di Belpech, soffriva di violenti dolori alla testa. Essendo, una sorella, morta di meningite, i genitori costernati non sapevano cosa fare per la sua salute, quand’ecco ella stessa chiese la reliquia di Giuseppina che la madre possedeva. Appena la reliquia fu posta sulla sua testa i dolori cessarono e la povera fanciulla subito si addormentò tranquillamente. Da quel momento non ebbe più mal di testa.
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Nel maggio del 1902 la signora Maria Chappay Marchici venne colpita da una gravissima pleurite, con febbre così alta che il medico dottor Vauthrin aveva ormai perduto ogni speranza di guarigione. L’ammalata, però, ricevette con viva fede un pezzettino di tela di Giuseppina Faro e d’allora andò migliorando di giorno in giorno fino alla completa guarigione.
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II 27 settembre del 1901 la dodicenne Ida Collin di Soyers si ammalò di difterite. Essendo ormai tardi per iniettarle il siero il medico non nutriva alcuna speranza di salvarla. Le venne posta una reliquia di Giuseppina e il pericolo prodigiosamente scomparve.
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La signora Rosa Becker di Ettlingen (Germania) aveva un rene gravemente ammalato e non aveva alcuna speranza di salvezza se non l’operazione chirurgica. A tal fine entrò nell’ospedale Wilhelm-Luddig-Krankenheim di Karlsruhe. Una delle sue sorelle avendo sentito parlare della serva di Dio cominciò a pregarla con grande fervore e inviò all’inferma una reliquia di Giuseppina. Da quel giorno i medici cominciarono a dubitare della necessità dell’operazione; poco dopo dichiararono che sarebbe stata inutile. L’ammalata non soffri più, ritornò in famiglia ed ebbe ottima salute.
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Nel maggio del 1904, verso le nove, il curato P. B. Orsini della diocesi di Aiaccio fu chiamato per amministrare gli ultimi sacramenti alla signora Giuseppina Beverazzi. Le amministrò l’Estrema Unzione e le impartì l’indulgenza papale; poi prima di ritirarsi volle informarsi con i suoi parenti della causa della grave malattia. Il suocero e la cognata gli dissero che Giuseppina era caduta in sincope la sera prima e aveva trascorso la notte in quello stato. I dottori Zuccarelli e Devobili che avevano immediatamente chiamato constatarono la gravita del male dovuto ad avvelenamento del sangue per uremia. Quando l’ammalata entrò in agonia il curato si ricordò di Giuseppina Faro, della quale aveva letto la vita e i miracoli, e diede ai parenti una reliquia della vergine di Pedara che fu posta sotto il guanciale della povera inferma. Immediatamente la signora Beverazzi riprese i sensi, la crisi venne superata e poco tempo dopo ella si rimise del tutto.
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La signorina Maria Giuseppa Jubel, abitantea S. Germain-en-Saye, presso le religiose Agostiniane del Sacro Cuore di Maria, per un attacco di appendicite si trovò in condizioni tali che il medico disperava di salvarla anche operandola. Con grande rischio l’operazione venne tentata il 16 agosto, ma l’ammalata fu lasciata in uno stato di gravita tale che il medico dichiarò che non avrebbe passato la notte. Ma proprio allora venne applicata sulla ferita una reliquia di Giuseppina e fu pregata l’umile serva di Dio di intercedere per la guarigione dell’inferma. Le preghiere non furono vane e qualche giorno dopo il medico stupefatto esclamava che non ci capiva nulla. La guarigione e la convalescenza furono così rapide che un mese dopo la stessa signorina Maria Giuseppa Jubel poteva riportare, da S. Germain-en-Saye fino a Vonéche, in Belgio, la reliquia che le era stata prestata, in testimonianza della sua riconoscenza verso la vergine di Pedara.
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La signorina Maria Schifftelmann, di Mulhounse in Germania, aveva perduto, al principio di gennaio del 1907, l’udito in seguito a violenti dolori alla testa. Il medico curante dichiarò più volte che era necessaria una duplice operazione per praticare delle aperture dalle quali potessero vuotarsi gli ascessi che si erano formati nell’interno della testa. Il canonico Sintze, parroco di Maria SS. Ausiliatrice di Mulhounse, portò alla malata una calza di Giuseppina Faro consigliandola di applicare la reliquiasopra le orecchie ed invocare l’intercessione della serva di Dio. Alla prima applicazione uscì una grande quantità di pus dalle orecchie, ma i dolori continuarono per quindici giorni con una tale intensità da non permettere all’inferma di dormire. Una domenica la signorina Schifltelmann, durante una visita di una cugina, si mise ad invocare,
insieme alla parente, la vergine di Pedara. Appena cominciata la preghiera l’ammalata si sentì una mano invisibile passare sulla faccia e portarle via tutti Ì dolori. Poco dopo si addormentò e si svegliò, alcune ore dopo, perfettamente guarita.
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Nella notte del 22 dicembre del 1906 Armando Angen, bambino di venti mesi, fu preso da tale convulsione che il padre fu obbligato a chiamare il medico. Il povero bambino irrigidito e pallido sembrava venir meno ad ogni momento. Intanto si posò sulla sua testa un fazzoletto che aveva toccato il corpo della serva di Dio Giuseppina Faro e, a poco a poco, il piccolo cominciò a dare segni di vita. La respirazione divenne regolare e quando arrivò il medico il pericolo era cessato.
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II 20 ottobre 1907 l’arciprete di Neufchateau si ammalò. Egli accusava forti dolori agli intestini, ma dopo alcuni giorni il medico riscontrò che la malattia era una polmonite. Malgrado le cure il male si aggravò a tal punto che la sera d’Ognissanti si credette opportuno amministrargli gli ultimi sacramenti. Un lieve miglioramento si notò il 3 novembre, ma ben presto il male riprese il suo malefico corso. Il medico capì che la sua scienza era impotente e che ormai la morte sembrava inevitabile. Un altro medico, amico dell’arciprete venne a visitarlo, ma dovette convenire che non c’era nulla da fare. Intanto un gruppo di parrocchiani avendo inteso parlare della serva di Dio Giuseppina Faro rivolse alla vergine di Pedara le più fervide preghiere per la guarigione dell’amato pastore. Cominciarono una novena e legarono al braccio dell’ammalato un pezzettino di tela di Giuseppina. La ferma fiducia che queste persone avevano nella vergine Faro li ispirò di chiedere a Dio un segno dell’efficacia della sua intercessione. — Se veramente Giuseppina ci ottiene la grazia che imploriamo — dissero — fate, o Signore, che la notizia dell’entrata in convalescenza ci arrivi venerdì prossimo. La notte del giovedì fu la più terribile per l’ammalato, ma il mattino dopo il medico venendo a visitarlo gli chiese se sentiva un po’ di appetito. Sulla risposta affermativa gli fece prendere
del cibo. L’ammalato si trovò benissimo e da quel momento ebbe inizio la convalescenza.
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La piccola Carolina Avila, di Rio de Janeiro,soffriva di tubercolosi e ottenne la guarigione grazie alla intercessione della vergine Faro pregata, con viva fede, dalla madre, signora Isabel Guimares.
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Nell’ottobre dell’anno 1907 il marchese di Raincourt si ammalò. In fondo all’orecchio destro gli apparve un enorme foruncolo che gli procurò una forte allergia che si diffuse in tutto il corpo cagionandogli dolori atrocissimi e un prurito irresistibile che non gli dava un momento di riposo. I numerosi rimedi ordinati dai medici non gli recavano il più lieve miglioramento e, avuto riguardo all’età dell’ammalato di 72 anni e alla maligna natura dell’allergia, la nipote pensò di dare allo zio un pezzettino delle vesti della serva di Dio. Da parte sua la marchesa fece voto di andare in pellegrinaggio a Lourdes appena ottenuta la guarigione. Malgrado lo scetticismo dei medici, chiamati anche da Belfort e da Nancy e dello stesso professer Brace di Parigi, il marchese guarì.
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Antonio Tomaselli, sacrista della chiesa SS. Annunziata, una sera trascurò di accendere la lampada della camera dov’è il mausoleo della serva di Dio. Quella notte dormì in una stanza attigua alla chiesa, ma nel sonno, si sentì svegliare da una voce che gli gridò: — Antonio, perché mi lasci all’oscuro?
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«Io sottoscritto Scandurra Adolfo, nato in Alessandria d’Egitto il 21.XII.1895 e residente in Pedara (CT) via Roma, n° 7, essendo in piena facoltà mentale di intendere e di volere, rilascio al Comitato “prò Serva di Dio” Giuseppina Faro, nella persona del Presidente — Dr. Cosimo Costanzo — spontaneamente la seguente dichiarazione: All’età di due anni, cioè nel 1897, sono stato colpito dal tremendo morbo dell’epoca che colpiva sopratutto i bambini in tenera età, intendo parlare della difterite. Premetto che in quell’epoca mi trovavo con i miei genitori in Alessandria d’Egitto dove risiedevamo. Mio padre, oriundo di Pedara, pensò di far fortuna in Egitto dove sposò. Lasciò a Pedara un fratello sacerdote, Don Giuseppe Scandurra e una sorella monaca di casa, di nome Venera ed un altro fratello sposato, ma senza figli. Abitavano tutti nella stessa casa. Siccome nel frattempo era morto lo zio sacerdote, la zia monaca fece di tutto per avere una nipote in casa ed insistette presso mio padre perché dall’Egitto le mandasse una sua figliola. Mia madre venne a Pedara ad accompagnare e lasciare alla cognata mia sorella Nella che allora aveva sette anni. Dopo alcuni anni ritornò una seconda volta per accompagnare e lasciare a Pedara l’altra sorella di nome Carmela di circa 17 anni. Reputo la presente descrizione necessaria per dimostrare come mia madre venendo a Pedara, ha potuto rendersi conto della fama di santità che Giuseppina Faro aveva lasciato dopo la sua morte tra i pedaresi. Mia madre ritornando in Egitto ha portato con sé una immaginetta della “Serva di Dio” Giuseppina Faro. Preciso che già i miei genitori erano stati provati dalla dolorosissima perdita di ben sette figli maschi, tutti colpiti dalla difterite. All’età di due anni, ultimo dei figli, venni colpito anche io da questo tremendo ed inesorabile male. La disperazione dei miei genitori era indicibile e non sapevano a chi rivolgersi. Mio padre come ispirato dice a mia madre di prendere l’immaginetta della “Beata Peppina” che aveva portato da Pedara e così lei infatti fece. L’immagine mi venne posta sotto il cuscino ed i miei genitori si misero a pregare con tanta fede Giuseppina Faro, affinchè desse loro una ispirazione per trovare la giusta soluzione per potermi salvare. L’ispirazione infatti è venuta a mio padre subito dopo aver finito di pregare; disse a mia madre di andare a comprare delle “mignatte”, presso il vicino barbiere arabo che abitava nei pressi di casa. Aveva le ultime quattro “mignatte” che mia madre comprò. Mio padre applicò tutte quattro le “mignatte” alla mia gola restando in costernata attesa e pregando. Quando le mignatte si sono staccate dalla mia gola io dormivo profondamente e la nottata passò molto tranquilla. Al mattino mi sono svegliato con fame e mia madre mi fece bere del latte, poi mi son voluto alzare e mi misi a giocare nel cortile, completamente guarito. Quanto sopra da me dichiarato mi è stato raccontato decine di volte da mia madre e da mio padre, prima della loro morte. Quando è morto mio padre io avevo l’età di 11 anni, mentre quando è morta mia madre io avevo quasi 18 anni. Pedara 15 Luglio 1980
In fede
Adolfo Scandurra
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